Meccanica celeste e significato dei solstizi

Il fenomeno dei solstizi attraverso le culture e la storia,


Quando le giornate si accorciano ci si avvia verso l'inverno e il sole appare sempre più basso all'orizzonte, ad un certo punto il sole sembra fermarsi nel giorno più corto dell'anno. Da questo sostare deriva il termine latino solstitium, ovvero "sole fermo", diventato poi il nostro solstizio. Se tracciassimo ogni giorno l'ombra che la punta di un palo proietta a terra a mezzogiorno, ne ricaveremmo una figura a vaga forma di 8 detta analemma, che nel giorno in cui l'ombra è più corta indica il solstizio d'estate, col sole più alto all'orizzonte e nel punto in cui l'ombra è più lunga il solstizio d'inverno, mentre nei due giorni in cui si verifica l'incrocio dell'8, i due equinozi. Questo accade perché la terra gira intorno al sole con un'inclinazione di circa 23° rispetto al piano della sua orbita e allora se ci si trova nell'emisfero nord, come noi in Italia, quando questa inclinazione si rivolge verso il sole abbiamo più luce, mentre quando sei mesi dopo abbiamo fatto esattamente mezzo giro attorno al sole, avremo l'inclinazione opposta e quindi al nostro emisfero arriverà meno luce e saremo in inverno. Chi sta nell'altra metà invece sperimenta il fenomeno contrario ed ecco perchè in Australia vanno al mare a Natale. 

Accorgersi di tutto questo non è semplice ed è affascinante pensare come l'uomo da millenni ne sia al corrente grazie all'osservazione del cielo e delle stagioni. Questa alternanza è un po' come il respiro del nostro pianeta che porta il tempo della semina e dei raccolti, della neve e della pioggia in un ritmo che condizionava in maniera determinante la vita sulla terra insieme a quella dei nostri progenitori.

Avere coscienza di questo ciclo e gestire la campagna con il giusto tempo poteva fare la differenza tra l'abbondanza e la carestia, la vita e la morte. Per fortuna oggi non risentiamo allo stesso modo di tutto questo ma la vita moderna ci allontana in un certo senso dalla contezza del nostro mondo. Quando invece per generazioni, i saggi guardavano le stelle dal tempio ed erigevano monumenti in pietra per registrare le posizioni degli astri, la sapienza e la natura si fondevano in una maniera così profonda da trascendere il semplice atto pratico e sconfinare nel mistico e nel dominio dello spirito.

In tutte le civiltà i solstizi rivestono un'importanza particolare perché oltre ad essere punti notevoli del moto apparente del sole nel cielo, ancor più degli equinozi in cui le ore di sole pareggiano quelle di tenebra, in questi altri giorni siamo agli estremi, al volgere di un ciclo che dal buio conduce alla luce e che dalla luce ridiscende verso il buio.

Nell'antico Egitto, il solstizio estivo coincideva con il sorgere di Sirio e con la piena del Nilo.Esso costituiva il segnale della rinascita del mondo, la promessa del raccolto, il segno che Ra e Iside, il principio solare e quello materno, si erano congiunti per fecondare la terra.Il tempo riprendeva a scorrere, le acque risalivano, la vita tornava a fiorire: l'universo respirava al ritmo del Sole.

A oriente, in Mesopotamia, il ciclo del Sole si rifletteva nel mito di Tammuz, il dio della vegetazione che muore nel calore dell'estate per rinascere nell'ombra invernale. I Babilonesi vedevano nel solstizio il momento in cui la potenza solare raggiungeva il suo apice, ma anche l'inizio del declino, la curva discendente della vita. Era la legge del ritorno, la morte necessaria al perpetuarsi del mondo.

I Greci conoscevano il linguaggio del cielo e vi leggevano le proporzioni dell'anima. Nei solstizi celebravano Apollo e Crono, luce e tempo: il primo come principio ordinatore e intelletto solare, il secondo come custode del limite e del ciclo.

Nelle scuole misteriche di Eleusi, il ritmo solstiziale era riflesso nel percorso dell'iniziato: discesa nell'ombra e risalita verso la luce, come Persefone nel mondo sotterraneo. 

Roma raccolse quell'eredità e la consacrò alla sua liturgia civile. Durante il solstizio d'estate si celebravano le Vestalia, giorni dedicati al fuoco di Vesta, cuore della casa e del popolo; mentre nel solstizio d'inverno, con i Brumalia, si accendevano i fuochi della rinascita, preludio ai Saturnalia. Il tempo si rigenerava, e il fuoco, la forma terrestre del Sole era custode del nuovo inizio. Saturno e Giano, i due dèi delle soglie, vegliavano su questo passaggio, perché in ogni confine tra luce e oscurità si cela un potere di rinascita.

Nella Cina imperiale i solstizi erano momenti di equilibrio cosmico: il Xiàzhì, solstizio estivo, era dedicato ai sacrifici che venivano fatti nei riguardi del Cielo, principio yang, mentre il Dongzhì, d'inverno, onorava la Terra, principio yin. Nel loro alternarsi si rifletteva il ritmo stesso dell'universo, la rotazione senza fine degli opposti.Era il tempo in cui l'imperatore, intermediario tra uomo e cosmo, ristabiliva l'armonia del mondo con il sacrificio e la meditazione.

In India, la tradizione vedica descrive i solstizi come le due metà del viaggio del Sole: Uttarayana, il cammino verso nord, e Dakshinayana, quello verso sud. Il primo che inizia con il solstizio d'inverno è considerato il periodo più favorevole per la liberazione spirituale, perché il Sole ascende al cielo come la coscienza che si eleva verso il Brahman. Così il moto del Sole diventa immagine del risveglio interiore, e l'astronomia si fa metafisica.

Nel Nuovo Mondo, i Maya e i Toltechi costruirono i loro templi come strumenti di luce. A Chichen Itzá, a Tikal, a Palenque, l'ombra delle pietre disegna serpenti e croci solari nei giorni dei solstizi. Là, il Sole Kinich Ahau è il cuore pulsante del cielo, il ritmo che regola il tempo sacro. Sull'altopiano andino, gli Inca celebravano il solstizio invernale, che per loro corrispondeva al momento della rinascita del Sole. Durante l'Inti Raymi, i sacerdoti rivolgevano le braccia verso l'orizzonte per salutare il ritorno del dio Inti, e tutto il popolo partecipava a un rito di offerta e gratitudine. Il mondo rinasceva, e con esso il patto tra l'uomo e il cosmo.

Nelle antiche terre celtiche, i solstizi segnavano le grandi porte dell'anno: Alban Hefin (la luce più lunga) e Alban Arthan (la luce che ritorna). I falò di mezza estate e i ceppi di Yule erano riti di purificazione e rinnovamento. Saltare sul fuoco, intrecciare erbe, accendere lanterne: gesti antichi che univano la comunità al ritmo della Terra. La luce e la notte non erano nemici, ma amanti che si inseguivano in eterno. Nelle terre nordiche, il Midsommar celebrava il giorno che non finisce mai. Le ghirlande di fiori, le danze intorno ai pali del sole, i canti fino all'alba erano una forma di gratitudine alla vita. Il fuoco, di nuovo, era simbolo del cuore: il piccolo Sole che brucia in ogni essere vivente.

Tra i popoli slavi e baltici, la Kupala Night era la notte dell'unione cosmica: l'acqua e il fuoco si incontravano, i giovani saltavano le fiamme e cercavano fiori magici che fioriscono solo in quella notte. Era la notte della fertilità, del rinnovamento, del mondo che si rigenera in se stesso.

Nelle steppe siberiane, gli Yakuti celebrano ancora oggi lo Yhyakh, la festa estiva del Sole e del latte. Si innalzano offerte agli spiriti del cielo e si danza intorno al fuoco per ringraziare la vita. Là dove il Sole resta visibile per giorni interi, l'uomo sente più da vicino la presenza del divino.

Tra i popoli africani, come i Dogon del Mali o gli Yoruba dell'Africa occidentale, i solstizi sono ancora momenti di rinnovamento e di danza sacra. Il Sole e la Terra sono amanti che si incontrano, e ogni rito è un dialogo tra il visibile e l'invisibile.

In Giappone, lo Shinto celebra Amaterasu, la dea del Sole, che secondo il mito si era nascosta in una grotta, privando il mondo della luce. Ogni solstizio rinnova quel mito: il ritorno del Sole rappresenta il ritorno dell'armonia, la riapertura del ciclo cosmico.

Anche nei mari del Pacifico, in Polinesia e alle Hawaii, i templi "marae" sono orientati agli estremi solari. I navigatori osservavano il punto del Sole sull'orizzonte per regolare le loro rotte, e ogni passaggio solstiziale era un rito di gratitudine al cielo e al mare.

Nella Persia zoroastriana, la notte del solstizio d'inverno era la Yalda, il parto della luce. Mithra, dio della verità e del Sole, nasceva nell'ora più buia per vincere le tenebre.

I Romani, eredi di quella sapienza, chiamarono il 25 dicembre Dies Natalis Solis Invicti il giorno della nascita del Sole invincibile. 

In Israele, la festa di Chanukkah conserva la stessa memoria: accendere le lampade del Tempio significa mantenere viva la fiamma dello spirito, anche quando tutto intorno è oscurità.

E il Cristianesimo, raccogliendo queste eredità, pose la nascita di Cristo nel tempo della notte più lunga, come luce che entra nel mondo. 

Simmetricamente al solstizio d'estate, si celebra San Giovanni Battista, "colui che deve diminuire", mentre la luce inizia a calare.

E noi, oggi cosa sappiamo cogliere, cosa sentiamo con l'avvicinarsi questi eventi?