La condizione della donna nella storia

La condizione femminile ha attraversato la storia oscillando tra potere e sottomissione, visibilità e marginalità. Dalle Veneri preistoriche alle regine dell'antichità, la donna ha incarnato insieme sacralità e limite sociale. Oriente e Occidente mostrano percorsi diversi ma segnati dalla stessa ricerca di dignità e riconoscimento. Una lunga evoluzione che, ancora oggi, continua a scrivere il proprio futuro.

Nella storia dell'umanità, la condizione della donna ha sempre oscillato tra libertà e sottomissione, sacralità e marginalità, a seconda dell'epoca, dei luoghi, nonchè della struttura sociale. 

Osservando parallelamente sia  l'Oriente che l'Occidente, è possibile cogliere profonde affinità e sottili divergenze, che indicano il diverso percorso avvenuto all'interno delle civiltà per far sì che le donne ottenessero un riconoscimento insieme ad una maggiore dignità. 

In epoca preistorica, quando l'uomo si comportava da "nomade", la donna occupava un ruolo centrale all'interno della vita sociale: custode del focolare domestico, madre, depositaria dei misteri della vita e della morte. 

Le celebri "Veneri" paleolitiche, statuette di donne dal corpo fecondo,  testimoniano il culto della fertilità e della maternità che poneva la donna in rapporto diretto con la natura e il divino.

Con la diffusione dell'agricoltura e la costituzione delle prime società stabili, questo equilibrio iniziò a mutare: la proprietà della terra e la trasmissione del patrimonio inaugurarono strutture patriarcali che relegarono progressivamente la donna a ruoli più subordinati.

Nell'antico Egitto la donna godeva di una condizione relativamente avanzata rispetto alle altre civiltà coeve. Essa infatti poteva possedere beni, ereditarli, intentare cause legali e perfino regnare. Figure come Hatshepsut o Cleopatra testimoniano il modo in cui il potere femminile poteva  raggiungere vette impensabili. Tuttavia, anche qui la sfera pubblica restava appannaggio esclusivo degli uomini, e la donna, pur venendo rispettata come sposa e madre, era confinata nella sfera  domestica e religiosa.

Tra le sponde del Tigri e dell'Eufrate, nelle città di Ur e Babilonia, le leggi del Codice di Hammurabi fissarono un modello rigidamente patriarcale, la donna veniva posta sotto la tutela del padre e del marito, il suo corpo controllato, la sua libertà limitata. Tuttavia, non mancavano sacerdotesse e imprenditrici, segno che nelle società urbane più evolute potevano aprirsi spiragli di autonomia.

Nel mondo ebraico, la donna veniva onorata come madre e moglie fedele, ma non partecipe della vita pubblica. La sua figura spirituale però, emerge con forza nei testi sapienziali e nella poesia biblica, segno di una tensione mai spenta tra subordinazione e valore interiore.In Grecia la donna fu, nel mito, dea e musa, ma nella realtà cittadina, specie ad Atene, confinata nell' "oikos", la casa. Escluse dalla vita politica e dall'educazione, le donne ateniesi vivevano sotto la tutela degli uomini.  Solo a Sparta, per ragioni militari e demografiche, esse godevano di una libertà maggiore, in quanto potevano possedere terreni e ricevere un'educazione fisica e morale.

A Roma, invece, si verificò una diversa evoluzione del suo ruolo, da persona soggetta al pater familias in età repubblicana, la donna divenne progressivamente più libera in epoca imperiale. Essa infatti, aveva il diritto di amministrare beni, divorziare, influire sulla vita pubblica, basti pensare a figure come Livia o Agrippina, protagoniste della politica imperiale dietro le quinte del potere.